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24-07-2016

Sud Sudan: una nuova missione di peacekeeping

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L'Unione Africana ha approvato da poco il piano per il dispiegamento di una forza di peacekeeping più robusta e organizzata rispetto a quella già dispiegata dalla missione UNMISS sul territorio del Sud Sudan.

Secondo i leader dell'Unione Africana la decisione di inviare una nuova missione nel Paese è dovuta al susseguirsi di violenze nella capitale Giuba oltre che alla precarietà degli accordi in piedi tra Salva Kiir, il presidente e leader del Sudan People's Liberation Army (SPLA), e il suo vice Riek Machar, attualmente a capo del Sudan People's Liberation Army-in-Opposition (SPLA-IO), ribelle al governo. La decisione dell'Unione Africana non è stata accolta con favore da entrambe le parti in conflitto, il SPLA-IO ha infatti ufficialmente respinto l'intervento di una forza multinazionale, seguendo le dichiarazioni del ministro per gli affari di gabinetto del governo Martin Elia Lomuro, che considera una nuova missione "un nuovo problema".

Permane il rischio di un'escalation di nuove violenze nelle prossime settimane. È probabile che la tregua in corso sia dovuta per lo più al respingimento delle forze dello SPLA-IO piuttosto che ad un credibile e affidabile accordo tra le fazioni in contrasto. Sia Kiir che Machar non stanno dimostrando capacità di controllo delle proprie forze e i frequenti piccoli scontri tra limitate unità non fanno altro che esacerbare le ostilità tra le parti. Il rischio maggiore è che, a causa della scarsa disciplina delle truppe e di una debole capacità di comando e controllo, dispute locali possano generare scontri su larga scala. Le violenze si estenderanno alle aree vicino la capitale Giuba, inoltre la momentanea sconfitta delle forze guidate da Machar potrebbe mettere in crisi la sua leadership a capo del SPLA-IO e quindi potrebbe spingerlo a incoraggiare i comandanti a lui fedeli ad insistere in operazioni militari nelle località sotto il loro controllo. Si registreranno ancora scontri nelle aree a contatto ravvicinato tra le fazioni, più precisamente nelle regioni dell'Equatoria, dell'Alto Nilo e nelle aree orientali di Bahr e Ghazal. Il contesto di sicurezza sarà minacciato anche da un alto livello di criminalità, dovuto in parte alla forte crisi economica che paralizza il Paese e in parte ai ritardi nei pagamenti dei soldati regolari, facendo così registrare un aumento di episodi violenti specialmente nella capitale Juba e lungo del vie di trasporto dirette in Uganda.

É improbabile che il livello dello scontro arrivi a quello registrato durante la guerra civile del 2013-2015, dal momento che nessuna delle parti ha le capacità economiche e militari per sostenere una campagna militare con combattimenti pesanti senza il supporto di attori esterni. Se in precedenza Uganda e Sudan hanno partecipato attivamente al conflitto in Sud Sudan, al momento entrambi i paesi sono intenzionati a percorrere la strada dei negoziati diplomatici per giungere ad una conclusione delle violenze e porre inoltre fine all'afflusso di armi nel Paese, tramite misure quali un embargo internazionale sulle armi. I negoziati in corso presentano però un elemento di grande criticità: attualmente gli sforzi della comunità internazionale si stanno concentrando su una soluzione basata sugli accordi di agosto 2015, senza apportare alcuna modifica significativa. Appare probabile che questa sarà la direzione che si seguirà nel breve termine e che però non produrrà alcun tipo di sviluppo positivo.

Desta forte preoccupazione la scelta dell'Unione Africana di inviare nuove truppe nel Paese. I paesi africani coinvolti hanno forte interesse a prendere parte ad operazioni di peacekeeping in quanto vedono queste operazioni come opportunità di acquisire finanziamenti, forniture militari e training da parte della comunità internazionale. In questo scenario, è possibile che le forze dispiegate non siano davvero intenzionate a porre fine al conflitto, quanto a mantenere una condizione di conflitto a bassa intensità e di rafforzare la presenza delle proprie truppe sul territorio. La presenza di truppe straniere genera inoltre forte risentimento da parte della popolazione locale che, consapevole di quanto in corso in Somalia, percepisce le forze di peacekeeping come forze di occupazione.

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Claudio D'Angelo

Laureato con lode in Scienze per l’Investigazione e la Sicurezza presso l’Università degli Studi di Perugia.
Laureando in Ricerca Sociale per la Sicurezza Interna ed Esterna (Safety and Security Manager).
Analista di intelligence perfezionato nell'analisi del rischio, nell'individuazione delle possibili minacce terroristiche e nella vulnerabilità dei siti industriali, delle infrastrutture critiche e degli obiettivi strategici.
Esperto nella gestione degli scenari di emergenza e nella tutela e la messa in sicurezza di personale operante in aree di crisi, con specifico expertise dell’area mediorientale.
Redattore per il magazine – online Convincere, svolge ricerche nel campo della diffusione dei movimenti Jihadisti in Medio Oriente e Africa, nell’applicazione della teoria dei sistemi complessi alla società e della Network Analysis nel processo di analisi d’intelligence.

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