Gli ultimi gravi sviluppi (politici, di sicurezza, ecc. ) in Medio Oriente rappresentano una sfida che mette in serio pericolo l'identità di questa regione. Inoltre, la nascita di un’atmosfera settaria “etnica-religiosa” aumenta i rischi che nascono soprattutto con il crescente stato della divisione psicologica che ormai domina la mentalità di una gran parte dei cittadini mediorientali.
Tra le sfide più importanti che affronta oggi il Medio Oriente è l’idea dell’impossibilità della coesistenza tra i popoli della regione, il che richiede un ricorso verso la divisione a base religiosa o etnica o anche settaria. Questo significa semplicemente una ricetta complessa che porterà a una frammentazione di lungo termine.
Aleppo è stata ormai dimenticata dai media ma è proprio li che si continua a combattere da tre anni. L'energia elettrica arriva per poche ore al giorno e l'acqua manca in quasi tutti i quartieri; dei 2.5 milioni di abitanti di prima della guerra oggi la popolazione secondo una nostra stima raggiunge poco più delle 250mila unità: i cristiani da 200mila sono ora all'incirca 70 mila. La città che era considerata la Milano siriana è divisa in due: ad ovest i governativi, ad est i cosiddetti ribelli che ormai sono milizie indefinite con uomini recuperati ovunque, privi di reali motivazioni politiche e religiose ma semplicemente motivati dal potere che la guerra stessa trasmette.
I combattenti dell'Isis hanno catturato la città di Tadmur, situata nel centro del territorio siriano. La località, che si trova sulla principale strada che collega da ovest ad est Homs a Deir Ezzor, rappresenta un'importante conquista strategica per lo Stato Islamico, che ha messo le mani anche sulla base aerea di Palmyra. Il 14 maggio l'IS aveva conquistato la città di al-Sukhna, 70 km a est di Tadmur. La coalizione con base ad Idlib denominata Jaish al-Fatah, frutto dell'alleanza tra membri di Jabhat al Nusra e diversi gruppi di opposizione, ha preso il controllo della base militare di Mastouma, nella provincia di Idlib.
© Riproduzione Riservata
La coalizione occidentale perde terreno prezioso ed il centro di Palmira viene occupato dalle milizie Jihadiste.
Il califfato con una incessante tattica di penetrazione, dopo aver sfondato la barriera difensiva esterna si è lentamente avvicinato al centro città e ieri mattina ha sferrato l’attacco decisivo utilizzando la brigata cecena in cui militano gli uomini più efficaci per le battaglie urbane.
Obama cambia rotta e nei prossimi mesi intensificherà in Siria, Yemen ed Iraq l’utilizzo di droni.
La necessità di trasformare i droni da occhi invisibili a veicoli di attacco diretto si esplicita con la difficoltà di esercitare una seria azione di contrasto e di intelligence al terrorismo islamico limitando al minimo l’invio di uomini sul terreno.
Fino ad ora gli Stati Uniti hanno utilizzato il veicolo “Predator RQ1” equipaggiato con telecamere ad alta definizione e particolari sensori per la raccolta di dati ed immagini armando il mezzo solo in casi estremi con missili via terra AGM (Air To Ground) antiradar.
Dopo il bliz delle forze speciali americane in Siria che ha portato all’uccisione del leader dell’Isis Abu Sayyaf, l’Italia accoglie una precedente richiesta statunitense ed invia sul fronte iracheno circa 70 uomini provenienti dalla Task Force 45 fatti rientrare da qualche mese dall’Afghanistan.
La scelta italiana si inquadra in una più generale strategia che vede l’utilizzo di “specialisti“ in Siria ed Iraq.
Il mancato raggiungimento di una soluzione politica in Siria ha creato una situazione di caos e rischia di portare a una nuova fase di escalation e potenziale divisione del Paese. Non è la prima volta che tali possibilità esistano.
Giorni di fuoco in Siria e Iraq: integrando le varie notizie circa le operazioni aeree guidate dagli Stati Uniti contro lo Stato Islamico, 64 attacchi sono stati portati a termine dalla coalizione tra mercoledì 24 e domenica 28 dicembre.
Tra il 24 e il 25 dicembre, stando a quanto dichiarato dalla Combined Joint Task Force, le forze dell’ISIS hanno subito 39 attacchi: di questi, 19 sono stati condotti in territorio siriano (17 presso la città di Kobane e 2 presso Hasakah e Raqqa), mentre 20 sono stati condotti in territorio iracheno (colpendo nei pressi di Al Asad, Sinjar, Mosul, Al Qaim, Baiji, Kirkuk, Falluja e Tal Afar).
Il presidente della Turchia Erdogan ha dichiarato ieri che la città curdo-siriana di Kobani sta per cadere migliaia di persone sono fuggite dalle loro case.
La prospettiva che la città possa cadere in mano all’ISIS ha fatto aumentare la pressione sulla Turchia al fine di una partecipazione insieme alla coalizione internazionale per la lotta contro i Jihadisti.
Un’immagine che ha fatto il giro del mondo: la bandiera nera dello Stato Islamico che sventola su un palazzo di Kobani (conosciuta anche come Ayn al-Arab), centro curdo nella Siria occidentale a soli 15 km dal confine turco.
Attenzione, però, a parlare di un’imminente “invasione” verso l’Europa. Bisogna tener presente che la Turchia non è la Siria e non è l’Iraq. A differenza degli altri due paesi, la Turchia gode di una fondamentale stabilità politico-istituzionale che garantisce solidità al paese; le sue forze armate sono meglio preparate ed equipaggiate e, infine, è Paese Membro della NATO (organizzazione pronta a fornire il proprio supporto in caso di spillover).