Undici paesi sembrerebbero pronti a incrementare il proprio aiuto ai gruppi ribelli che combattono il regime di Assad. Questo è quanto emerso dall’ultimo summit del collettivo diplomatico internazionale “Friends of Syria Group” tenutosi a Doha (Qatar) il 21 e il 22 giugno. Rispetto al primo incontro di Marrakech (12 dicembre 2012) al quale presero parte ben 144 paesi, il meeting di Doha ha registrato la partecipazione di soli undici stati; eppure, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia, Germania, Egitto, Giordania, Turchia, Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi si sono dichiarati pronti e intenzionati a supportare la guerriglia anti regime in termini di rifornimento d’armi ed equipaggiamenti. Per l’Emiro del Qatar Al-Thani rifornire armi ai ribelli è l’unica carta da giocare: «l’uso della forza è necessario per ottenere giustizia», queste le sue parole a summit concluso. La stessa linea pare esser condivisa dal Segretario britannico per gli Affari Esteri William Hague secondo il quale una soluzione politica al conflitto è difficilmente immaginabile: «se Assad e il suo regime pensano di poter eliminare ogni forma di legittima opposizione con la forza, è nostro dovere fornire assistenza a tale opposizione» ha dichiarato Hague, pur sottolineando che al momento Londra non ha espresso una propria posizione ufficiale.
Come il vertice degli "Amici della Siria" inizia questa settimana, contemporaneamente si attende un'intensa ondata d attacchi terroristici in tutta la Siria. Le aspettative di un intervento militare in Siria si sono ridotti in seguito alle esercitazioni militari "Eager Lion II". Nel frattempo, i paesi dell'Asse americano sono tornati a riunirsi sotto l'ombrello degli "Amici della Siria", per discutere dell'invio di armi ai ribelli in Siria.
The blocking of “Geneva II” by the US should make the whole region more cautious as it prolongs the Syrian crisis and increases the likelihood of the violence breaking across its borders.
This is the same America that signed “Geneva I” and abandoned it some days after by aggravating the tensions within Syria, starting with the battle in Damascus and then Aleppo directly after.
Il governo Obama ha accusato ufficialmente l'esercito di Assad di far uso di armi chimiche nel corso del conflitto che imperversa in Siria da più di due anni. Il regime di Damasco avrebbe quindi superato la "linea rossa" tante volte menzionata da Obama e avrebbe così fornito il pretesto ideale agli USA per intervenire attivamente con la fornitura di armi ai ribelli. Le dichiarazioni del Deputy National Security Advisor alla Casa Bianca, Ben Rhodes, hanno ovviamente attirato le critiche dell'altro grande attore internazionale coinvolto, la Russia. Tramite un tweet, il presidente della Commissione Esteri della Duma, Alexiei Pushkov, ha smentito categoricamente le affermazioni di Rhodes, archiviandole come pure bugie costruite a tavolino come fu in passato per l'Iraq.
Analizzando con più attenzione la situazione ci si pone delle domande alle quali sarebbe opportuno fornire risposte adeguate. Se infatti da un lato Washington punta il dito contro Damasco, i dubbi sull'effettivo utilizzo di armi chimiche in Siria rimangono enormi.
Domenico Quirico è vivo. Dopo due mesi di silenzio, da ieri (7 giugno) si hanno notizie del giornalista de La Stampa scomparso in Siria il 9 aprile. È riuscito a mettersi direttamente in contatto con la moglie: una telefonata a casa, uno scambio di parole durato pochi secondi prima che la linea s’interrompesse; pochi importantissimi secondi, sufficienti poter esser certi che Quirico è vivo e sta bene.
Ci sono diverse prevedibili conseguenze della battaglia di Al Quseir, in particolare la reazione del gruppo anti-Siria, che spera di migliorare la sua posizione di negoziati prima della venuta di Ginevra II.
Il crescente parlare di dispiegamento di batterie di missili Patriot in Giordania potrebbe essere anche parte di questa tattica. Tuttavia, il parlare di batterie Patriot in Giordania non è nuovo, infatti, può essere già una realtà.
BEIRUT - Il conflitto in Siria prosegue ormai incessantemente e così anche le ripercussioni per l'area. Il Libano, Paese considerato la naturale estensione della Siria per innumerevoli fattori, è teatro di scontri sempre più connotati da un elevato coefficiente di violenza ed intensità. Il 26 maggio due razzi hanno colpito a Beirut il quartire di Shiyyah, roccaforte di Hezbollah nel sud della città. L'attacco ha portato al ferimento di quattro persone, oltre che al danneggiamento di alcune abitazioni.
Le tracce di Domenico Quirico si sono perse il 9 aprile tra le sabbie dei deserti siriani. E a oltre 40 giorni dalla sua scomparsa le indagini restano ad un punto morto: nessuna rivendicazione, nessuna richiesta di riscatto, nessuna prova, nessuna traccia da seguire. Buio.
La guerra civile siriana sembra poter risucchiare nel suo vortice anche la Turchia. Ieri, sabato 11 maggio, una coppia di autobombe è esplosa nel primo pomeriggio a Reyhanli, centro abitato nel sud-est della Turchia prossimo al confine con la Siria e importante rifugio per i profughi siriani che tentano di fuggire al regime di Assad. Al momento il bilancio conta 42 morti, 100 feriti turchi e 13 vittime di nazionalità siriana.
Negli USA gli analisti di questioni mediorientali stanno valutando i rischi che potrebbero nascere da uno sforzo più aggressivo degli Stati Uniti per abbattere il regime di Bashar Al Assad.
Il non intervento potrebbe determinare, in primo luogo che le armi date ai ribelli potrebbero finire nelle mani degli estremisti islamici in secondo luogo, che la Siria si frantumi in tanti gruppi settari.