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17-12-2013

Guerra energetica tra Russia e UE

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La guerra energetica fra Russia e Unione Europea si arricchisce di un nuovo, prezioso tassello: pochi giorni fa, infatti, il Primo Ministro ungherese, Viktor Orbán, e l’Amministratore Delegato di Gazprom, Aleksej Miller, hanno stabilito, in un incontro organizzato nella capitale magiara, che i lavori di realizzazione del gasdotto South Stream, patrocinato proprio da Gazprom e destinato al trasporto di gas naturale russo dalle rive del Mar Nero fino ai paesi dell’Europa Occidentale (bypassando l’Ucraina), andrà avanti senza ritardi, con l’apertura dei cantieri prevista per Aprile 2015.

Un duro colpo, questo, al progetto “alternativo” europeo di costruzione del gasdotto Nabucco, volto a collegare, invece, la Turchia all’Austria, creando così una via di importazione di gas metano proveniente dal Caucaso, dal Mar Caspio e dal Medio Oriente in grado di aggirare le rotte di Mosca, ma i cui lavori di avvio sono stati più volte rimandati.

Per quanto semplice possa sembrare, la questione è delle più delicate: il gigante energetico russo, infatti, con una “potenza” di 63 miliardi di metri cubi annui di gas esportati, è in grado di soddisfare oltre il 30% della domanda di gas naturale dell’intero continente europeo raggiungendo, in alcuni paesi, picchi addirittura superiori all’80%, come in Bulgaria o in Polonia.

La risposta della Commissione Europea non si è fatta attendere, con la richiesta avanzata da Bruxelles a Ungheria, Bulgaria, Grecia, Slovenia, Croazia, Serbia e Austria, fra i partner europei del South Stream, di “rivedere” gli accordi stretti con la compagnia russa in quanto violerebbero, secondo il parere della Commissione, le regole del libero mercato e le leggi comunitarie in materia di anti-trust (Gazprom sarebbe sia produttrice di gas, che fornitrice e proprietaria del gasdotto).

Aldilà di questioni di natura prettamente giuridica ed economica, quello che appare evidente è il tentativo della UE da un lato di difendere la propria (futura) piattaforma geostrategica, dall’altro di limitare una ulteriore penetrazione russa su suolo europeo cercando, ancora una volta, di serrare i ranghi dei suoi membri e di legare i destini dei suoi partner orientali a quello della stessa architettura dell’Unione, giocando la carta del Terzo Pacchetto Energetico Europeo, un complesso insieme di disposizioni atte a modificare l’attuale assetto normativo relativo al mercato interno europeo dell’energia, in forte contrasto con quelli che sono gli interessi russi.

Che un simile piano giunga a compimento è ancora tutto da vedere, ma è certo che proprio i ritardi nella costruzione del Nabucco non faciliteranno la questione: qualora dovesse esser definitivamente realizzato, il Nabucco condurrebbe sì l’Europa a una maggiore indipendenza energetica dovuta allo sfruttamento di imponenti giacimenti situati in Turkmenistan e Azerbajan, lontani dall’orbita moscovita, ma i malintesi sulle forniture e i continui rinvii della sua stessa progettazione gettano un’ombra tanto oscura quanto deprimente sul futuro comunitario dell’intero settore.

Quel che rimane confermato, invece, è un semplice dato di fatto legato alla volontà degli stati interpellati da Bruxelles di andare avanti con il progetto South Stream, già da molte capitali elevato al rango di “progetto di priorità nazionale”; una soluzione questa che non solo garantirà a paesi come l’Ungheria una prima fornitura di gas naturale già a partire dal 2017, ma soprattutto assicurerà la certezza di attirare a casa propria investimenti altamente qualificati, pari a diverse decine di miliardi di euro.

Anche sul piano energetico, dunque, l’Europa non sembra riuscire a trovare una linea guida condivisibile; eppure, quella dell’energia è una partita che l’Unione Europea è chiamata a giocare in prima persona, pena la messa in discussione del suo stesso assetto cooperativo.

Del resto, come può esistere integrazione se una questione come la politica energetica resta per così tanto tempo senza risposta?

Senza energia non può esservi sviluppo, senza sviluppo non può esservi cooperazione e senza cooperazione non potrà mai esservi integrazione.

(fonte immagine Quartz.com)

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Stefano Ricci

Dottore magistrale in Scienza della Politica presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, dove si è laureato con una tesi in Teoria Politica avente come oggetto di studio l’analisi delle teorie del potere nell’epoca contemporanea, la loro messa in discussione e la proposizione di nuovi paradigmi politologici.

Specializzato in terrorismo e controterrorismo, con diverse qualifiche all’attivo, sta attualmente completando un Master di II livello in Geopolitica e sicurezza globale, organizzato dall’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.

Analista geopolitico, già collaboratore dell’ISTRID - Istituto Studi Ricerche Informazioni Difesa e di diverse testate giornalistiche d’approfondimento geopolitico, segue con particolare interesse le vicende del quadrante centro – orientale europeo, le questioni legate al terrorismo e all’eversione, nonché l’ascesa, specialmente in Europa, dei nuovi nazionalismi. 

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