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08-02-2020

Turchia: il miraggio ottomano di Erdoğan

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Turchia in primo piano nelle tensioni mediterranee che tengono banco e che sono essenzialmente legate alla Conferenza di Berlino sulla Libia e alle trivellazioni turche nelle acque vicine a Cipro.

 

Per ciò che concerne la conferenza di Berlino, che ha visto la partecipazione di numerosi Stati e organizzazioni internazionali, la situazione libica non sembra pervenuta ad una svolta.  Oltre all’accordo di facciata, in parte predefinito a Mosca e le scenografie diplomatiche, la conferenza ha comunque fatto chiarezza su alcuni punti.

Innanzitutto la consapevolezza che l’Italia abbia ormai perso la centralità nel Mediterraneo. Diversamente avremmo assistito alla “Conferenza di Roma” ed invece scopriamo che la Germania, che finora ha tenuto un basso profilo sulla politica mediterranea, ha un interesse sull’evoluzione della situazione in nord Africa e colma il vuoto diplomatico e politico lasciato dal nostro Paese.

La seconda riflessione pone alla ribalta la rinnovata politica estera della Turchia, che si è guadagnata, insieme alla Russia, un ruolo centrale per una soluzione diplomatica della crisi libica. Due Paesi che più di ogni altro hanno accresciuto la propria influenza in Libia, a discapito dell’Italia.

Mai come oggi la Turchia, considerata una potenza di medio “cabotaggio”, è stata così onnipresente. La si ritrova protagonista in ogni situazione critica nel bacino del Mediterraneo o in Medio Oriente. Prima in Siria, a seguire in Libia e poi sul fronte della gestione dei rifugiati: la politica estera turca si sta muovendo su più ambiti, quelli più caldi, con un solo obiettivo: costruirsi una centralità ineludibile nello scacchiere mediterraneo e medio orientale.

La Turchia accarezza in pratica il sogno-progetto di tornare agli splendori del periodo imperiale. Una linea politica chiara e perseguita con disinvolta perseveranza.

Influenzare le sorti della Libia, a suo tempo parte dell’Impero ottomano prima di diventare colonia italiana e tutto il Mediterraneo rientra a pieno titolo nel programma governativo. L’avvio di questo progetto è rappresentato dall’accordo libico-turco sui confini marittimi, osteggiato da Grecia, Egitto e Cipro, e che in pratica divide in due il Mediterraneo.

Con questo patto la Turchia si garantisce l’utilizzo dei gasdotti che rientrano in un quadrante marittimo posto fra le coste del Nord Africa e quelle della Turchia. Recep Tayyip Erdoğan cerca così di rendersi energicamente indipendente dalla amica-nemica Russia, che sta già arrivando in Turchia con Gazprom.

Il  sostegno turco ad Al Sarraj è incentrato essenzialmente  sulla protezione dell’accordo commerciale. Che il petrolio sia centrale nella vicenda  è evidenziato  anche dalle azioni di Haftar che prima della conferenza di Berlino ha chiuso i pozzi della Cirenaica, per lanciare un messaggio preciso alla Turchia: “finché i turchi sono in Libia niente petrolio”. Malgrado l’ultimatum non pare tuttavia che i turchi si siano scomposti più di tanto.

Nel Mediterraneo orientale, poi le navi battenti bandiera turca, Barbaros, Fatih, Yavuz, Oruç e Reis sorvegliano le trivellazioni a largo di Cipro.

La stessa Unione Europea e non da sola si è detta preoccupata per le possibili ripercussioni internazionali della vicenda, ma non pare che ciò impensierisca Ankara, che prosegue trivellazioni ed ricerche.

Un altro fronte aperto, che interessa da vicino anche l’Europa, è quello dei rifugiati siriani ospitati in territorio turco. Erdoğan si è recato a Berlino anche per chiedere all’Unione Europea di mantenere fede agli accordi e finanziare il proprio governo per la gestione dell’annosa questione.

Il leader turco ha proposto la creazione di una zona cuscinetto in territorio siriano in cui i rifugiati possano vivere provvisoriamente.

Sulla gestione umanitaria del flusso dei rifugiati la Turchia è nuovamente in una posizione di forza nei confronti dell’UE, che appare divisa, non univoca ed inefficace su molti fronti: primo fra tutti la politica estera.

La Turchia è ben conscia delle difficoltà europee e su questo fa abilmente leva per raggiungere i suoi obiettivi. La domanda che in molte capitali si pongono è: fino a dove e fino a quando?

Emanuela Locci – PhD di Storia e Istituzioni di Asia e Africa presso il Dipartimento storico politico e internazionale della Facoltà di scienze politiche dell’Università di Cagliari

Fonte: https://www.groi.eu/bl1pv

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