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27-11-2013

ELEZIONI IN SLOVACCHIA

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Si sono da poco concluse le elezioni amministrative, in Slovacchia, e, dopo i deludenti risultati elettorali registrati, il paese ha già iniziato ad interrogarsi sull’esito delle stesse; a stupire la classe politica slovacca, infatti, sono stati due fattori: da un lato, la vittoria schiacciante dell’astensionismo, da sempre segno di sfiducia verso la dirigenza del paese e di scarsa attenzione alla vita politica della nazione (solo il 20% degli aventi diritto di voto si è infatti recato alle urne); dall’altro, l’altrettanto schiacciante “vittoria”, nella regione di Banska Bystrica, di Marian Kotleba, leader dell’Ľudová strana Naše Slovensko, formazione ultranazionalista di estrema destra che ha già avuto modo di farsi conoscere per le sue prese di posizioni radicali su argomenti quali immigrazione e rom.

 

Con oltre il 21% dei voti, infatti, Kotleba si è guadagnato il diritto di sfidare, al secondo turno, l’attuale governatore socialdemocratico Ludovit Kanik, cui si sono già rivolti oltre il 40% dei votanti. Per quanto possa dirsi soddisfatto, Robert Fico, attuale primo ministro slovacco nonché punta di diamante dello stesso SMER (il partito socialdemocratico, per l’appunto), non può di certo negare l’evidenza e cioè che, nonostante le premesse, quello “sfondamento” tanto atteso prima della tornata elettorale non è affatto avvenuto: su otto candidati, ben cinque sono stati rimandati al ballottaggio del 23 novembre, ottenendo quasi ovunque percentuali di poco superiori al 30%. Il successo di Kotleba, invece, specie se unito alle disarmanti statistiche sull’astensione, appare, sotto molti punti di vista come l’autentica cartina di tornasole dello stato delle cose all’interno dei paesi membri dell’UE. Di disaffezione dalla vita politica, in Slovacchia, si parla ormai dal lontano 2009, eppure da allora, nonostante i recenti successi economici del paese, nulla è cambiato; la scusa della mancanza di informazione, avanzata da molti esponenti di governo, poi, come lo stesso sindaco di Malacky, la cittadina europea con il più basso tasso di partecipazione di tutto il continente, ha più volte rilevato, non regge più. Il Parlamento viene avvertito come lontano, incapace pertanto di costituirsi come espressione delle esigenze dei singoli cittadini e gli stessi partiti tradizionali vengono spesso considerati come più attenti ai dettami di Bruxelles che alle aspirazioni dei propri elettori; un terreno, questo, da sempre considerato fertile per ogni retorica populista. Non è un caso, insomma, che laddove la partecipazione elettorale risulti la più alta della nazione, in Banska Bystrica, i votanti abbiano scelto Kotleba come portavoce. Gli slovacchi si sentono parte di un paese “piccolo”, in aspirazioni e caratura, incapace di modificare il corso della storia europea; quale miglior soluzione, dunque, se non quella di uscire dall’eurozona (leitmotiv dell’euroscetticismo tutto) e rivolgere i propri sforzi verso problemi interni come disoccupazione e corruzione? Che lo voglia o meno, però, la Slovacchia ha già da tempo iniziato ad influenzare l’Europa, divenendo uno dei principali cuori produttivi dell’Unione, acquisendo, nel solo 2012, ordini per circa 3 miliardi di euro e registrando un incremento del PIL, dal 1993, di circa il 29%.

Cosa potrebbe accadere, pertanto, in un paese come questo, qualora i moti dell’estremismo populista dovessero continuare a mietere successi? Si assisterebbe, di certo, ad un caso in grado di generare un precedente tale da incoraggiare omonimi movimenti in tutto il quadrante orientale, dove già impera l’esempio di Orbán, punto di riferimento dei nazionalisti di mezza Europa, oltre che favorire quella lenta chiusura in sé stessi che significherebbe la fine della stessa Unione Europea, oltre che della sua, già vacillante, economia.

 

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