L'Isis conta su un organico molto eterogeneo composto da ex militari e specialisti provenienti dall'area islamista estrema mediorientale asiatica ed europea, oltre a loro hanno aderito al Califfato anche non esperti che reclutati attraverso i noti canali pseudo-religiosi, dopo un breve addestramento (da tre a sei mesi a seconda delle esigenze) vengono inseriti nelle file dei ribelli; fare una stima esatta del numero degli appartenenti è attualmente impossibile, tuttavia si può ipotizzare un numero che oscilla tra i 28.000 ed i 40.000 uomini.
Dopo l'incontro di questa mattina tra il premier Renzi ed i leaders iracheni e curdi, l'invio di armi italiane ai guerriglieri curdi è ormai cosa fatta ed il voto del parlamento italiano sulla questione resta solamente un esercizio di retorica. D'altronde il tempo per ragionare sull'argomento non c'è più se si vuole fermare l'avanzata dell'isis. Il grosso delle armi che l'Italia sta per inviare fa parte di un sequestro avvenuto durante la guerra dei Balcani di un consistente quantitativo di AK 47, di pistole ed inoltre puntatori laser, giubbotti antiproiettile e sistemi di comunicazione.
L'Europa tardivamente si dichiara pronta a dotare i peshmerga di armi per contrastare l'avanzata dei jihadisti dell'isis. Oggi l'Italia si è ufficialmente mossa e per quanto i pacifisti scollati dalla realtà criticheranno l'azione italiana almeno siamo usciti dall'ipocrisia.
L’Ucraina sembra sull’orlo del baratro. È questa l’immagine che emerge dopo gli eventi degli ultimi due giorni. Giovedì ha avuto luogo l’ennesima “offensiva” separatista che ha visto miliziani filorussi occupare gli uffici della procura di Donetsk. Il giorno dopo Kiev ha fatto la sua mossa lanciando un’operazione su larga scala per riprendere possesso di Sloviansk, città del distretto di cui Donetsk è capoluogo finita sotto il controllo delle forze separatiste dai primi di aprile e dove si dice fossero tenuti prigionieri gli osservatori dell’OSCE[1]. Mentre l’esercito circondava la città e tentava una difficile avanzata (rallentata peraltro dalla stessa popolazione civile), sono scoppiati i primi scontri a Odessa tra le fazioni pro e contro Kiev: il bilancio momentaneo è di 42 morti e 125 feriti[2].
Non aveva l’Unione Europea deciso di dare il suo contributo militare al fine di risolvere la crisi umanitaria che imperversa nella Repubblica Centrafricana? La risposta è “si” ma pare che le cose non stiano andando come avrebbero dovuto. Il 10 febbraio il Consiglio Europeo autorizzò la missione di peacekeeping EUFOR RCA[1] ma, finora, non sono stati fatti grandi passi avanti.
Il ruolo della Russia negli affari internazionali è diminuito, almeno temporaneamente, Mosca è stata de facto esclusa dal gruppo delle 8 potenze industrializzate.
Il tentativo del presidente Vladimir Putin di utilizzare il gruppo BRICS le potenze emergenti al fine di mitigare l’isolamento imposto dall’occidente è fallito a causa delle controversie con Cina e India circa il Tibet e il Kashmir.
L'Unione Europea è pronta a lanciare la propria missione militare nella Repubblica Centrafricana. La decisione è stata presa all'unanimità in sede di Consiglio Europeo (20 Gennaio) e otto giorni dopo è giunta l'approvazione delle Nazioni Unite.
Le proteste in Ucraina sono iniziate a fine novembre esattamente il 21 novembre quando il presidente Yanukovich ha arbitrariamente accantonato un accordo commerciale a lungo atteso che avrebbe “approfondito” i legami con l’UE e ha chiesto al contrario, di quello che desiderava la popolazione, un maggior sostegno alla Russia. Questo ha scatenato una serie di manifestazioni popolari pro UE che sono via via cresciute di numero e intensità.
Le truppe francesi e i peacekeepers dell’Unione Africana fanno fatica ad arginare l’esplodere della violenza nella Repubblica Centrafricana (CAR), ed è per questo motivo che Parigi, in occasione del Consiglio Europeo del 19-20 dicembre, si è rivolta all’Europa in cerca di un aiuto militare e/o finanziario. L’anima della proposta Francese consiste nella creazione di una forza militare multinazionale da impiegare nel continente africano alle prime avvisaglie di una crisi. Uno strumento di questo tipo, se ben studiato, permetterebbe, in ottica futura, di bypassare la “trafila politico-diplomatica” che generalmente precede il lancio di una missione. Tuttavia, data la delicatezza della questione, il discorso è stato rinviato al primo Consiglio Europeo del nuovo anno.
Sale la tensione diplomatica tra la Russia e l’asse euro-atlantica. Il motivo? Alcune batterie di missili a corto raggio Iskander (o SS-26 Stone nel codice NATO) che Mosca ha dispiegato a Kaliningrad (enclave russa che si affaccia sul Baltico racchiusa tra Lituania e Polonia), e lungo la linea di confine che separa la Federazione dalle repubbliche baltiche di Estonia e Lettonia.