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24-02-2015

Cosa succede in Ucraina?

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Gli accordi di Minsk non reggono. A quasi due settimane dall’incontro avvenuto nella capitale bielorussa l11 febbraio, la situazione in Ucraina orientale non da segni di miglioramento. I primi tre punti dell’accordo non hanno ricevuto attuazione: il cessate il fuoco non è stato rispettato, le armi pesanti non sono state ritirate, l’attività di monitoraggio dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa è stata assai limitata. Conferme circa la violazione del cessate il fuoco arrivano direttamente della Special Monitoring Mission (SMM) dell’OSCE[1] che fa notare come si continui a sparare, specialmente nella Repubblica Popolare di Donetsk e presso l’aeroporto della Capitale.

Domani scadrà il termine entro il quale creare una zona cuscinetto lungo la linea di fronte attraverso il ritiro delle armi pesanti ma, data la situazione attuale, tale termine sarà difficilmente rispettato. L’esercito ucraino fa sapere che non ci sono le condizioni per far arretrare la propria artiglieria, mentre le forze filorusse hanno annunciato il ritiro dei propri armamenti da domani; tuttavia, così come accaduto la scorsa settimana, restano forti dubbi circa la veridicità di tali intenzioni. Infine, sono gli stessi ispettori dell’OSCE, sempre attraverso gli update della SMM, a far sapere che le attività di monitoraggio sono state limitate dalle parti.

Dalle voci al fronte a quelle della politica. Continua il muro contro muro politico, nonostante gli assidui contatti tra le parti. In quella che si potrebbe definire la “guerra delle parole” Poroshenko è tornato promettere il ritorno della Crimea tra i confini ucraini; Putin ha respinto ogni accusa di coinvolgimento nella strage di Maidan dell’anno scorso e ha sottolineato l’importanza di rispettare gli accordi presi a Minsk; mentre Pavlo Klimkin, ministro degli esteri ucraino, ha accusato la Russia di aver scatenato una “guerra ibrida su vasta scala”[2] e chiede l’intervento delle Nazioni Unite attraverso una missione dei caschi blu. Dall’altra parte dell’Atlantico, invece, continua il dibattito circa l’invio di “armi letali” all’esercito di Kiev: se, da una parte, il senatore repubblicano Mc Cain spinge fortemente in questa direzione, dall’altra, l’ambasciatore statunitense alla NATO Douglas Lute fa sapere che, pur restando una carta tra le mani del Presidente Obama, si tratta di una decisione non imminente e che sarebbe comunque presa “in consultazione con gli alleati”[3].

Dal fronte alla politica, dalla politica al fronte: come si evolverà la crisi in Ucraina? Data la situazione attuale, ci sono quattro scenari principali che si prospettano nell’immediato futuro: la diplomazia internazionale riesce a far sì che le forze sul campo rispettino gli accordi; la diplomazia fallisce e la crisi continua a vivere sul fronte; a un fallimento della diplomazia, gli Stati Uniti rispondono inviando armi a Kiev; intervengono le Nazioni Unite con i caschi blu. Delle quattro “opzioni”, l’invio di armi all’esercito ucraino è quella che nasconde le maggiori insidie rischiando di inasprire non solo lo scontro in Ucraina orientale ma anche di innescare pericoloso confronto sempre più “diretto” con la Russia. Al momento, sembra difficile immaginare che la diplomazia riesca ad avere pieno successo quindi il persistere dei combattimenti si prospetta come scenario più plausibile. Un’operazione sotto l’egida delle Nazioni Unite si prospetta come l’opzione più desiderabile, per quanto una sua attivazione possa essere lontana, dal momento che l’ONU arriverebbe a essere garante della pace sul campo e motore della macchina politico-diplomatica. 



[1] OSCE.

[2] ANSA.

[3] ANSA.

© Riproduzione Riservata

Alessandro Mazzilli

Laurea in Scienze Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Torino.

Esperto in Politica Estera di Difesa e Sicurezza e sulle relazioni Euro – Atlantiche.

Analista Geopolitico

Consulente in Servizi di Stuarding e controlli di sicurezza.

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