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TRIAGE duepuntozero

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17-05-2015

“L’Italia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?”

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Incontro presso l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI)

Lunedi pomeriggio Triage ha seguito un incontro, tenutosi presso l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), avente per oggetto di discussione la minaccia rappresentata dalla jihad globale. “Qual è la reale portata di questa minaccia?”, “quali i paesi più a rischio?”, “quali le implicazioni per la nostra politica estera e di difesa e per la sicurezza del nostro paese?”. Queste sono state le domande che hanno guidato lo svolgimento dell’incontro e la stesura di un rapporto omonimo.

Come relatori, hanno preso la parola:

  • Andrea Beccaro (Freie Universität – Berlino);
  • Fabrizio Coticchia (Istituto Universitario Europeo);
  • Lia Quartapelle (Camera dei Deputati);
  • Riccardo Redaelli (ISPI e Università Cattolica di Milano).

Ad aprire la conferenza, l'intervento di Riccardo Redaelli ha avuto l’obiettivo di inquadrare la minaccia jihadista che l'Italia e il resto della comunità internazionale si trovano ad affrontare. In relazione a Daesh, Redaelli ha fatto correttamente notare come oggi si faccia molta fatica "a comprendere il meccanismo postmoderno dei jihadisti"; in altre parole, si tratta di un attore – ormai alla stregua di un vero e proprio fenomeno – che presenta caratteristiche nuove che non vengono compresi appieno. Una di queste caratteristiche, sta nella capacità di essere "golcal", di avere sia una dimensione globale sia una locale: Daesh è riuscito a dotarsi di "un'immagine generale e globale" facendo, allo stesso tempo, "attenzione alle esigenze locali". Daesh è sceso in campo cercando lo "scontro per la supremazia geopolitica" ed è diventato una "minaccia per le vecchie minoranze del jihadismo globale". Altro elemento distintivo, è rappresentato dell'uso del terrore: come peraltro già rilevato da Triage, Daesh fa un uso mediatico del terrore, mira a "essere [una sorta di] premium brand" così da "attirare [sempre più] volontari per la jihad". Alla luce di tutto ciò, come combattere Daesh? Redaelli ha presentato una ricetta piuttosto condivisibile che richiede, nella sua essenza, due semplici ingredienti: "non cadere nel terrore", cercando anche di contenere la risonanza mediatica che viene generalmente data alle dimostrazioni di spietata violenza; abbandonare “l’ossessione dell’'Islam radicale”, tanto più che "in Europa ha fatto più danni il tostapane difettoso dello jihadismo islamico".

L'intervento di Andrea Beccaro ha voluto approfondire il tipo di minaccia rappresentata da Daesh. Impossibile non riconoscere che Daesh si sia dotato di una struttura quasi statale; Baccaro, infatti, ha giustamente definito "l'elemento della statualitá [come] fortemente distintivo”. Inoltre, Daesh è una "minaccia militare né convenzionale né non-convenzionale". Daesh, infatti, ha dato prova di saper mette in atto tattiche non prettamente terroristiche; o meglio, queste sono utilizzate in determinate situazioni, adattate a vari contesti e volte al raggiungimento di obiettivi precisi. L’analisi di Beccaro, s’inserisce in un più ampio dibattito sulla definizione di “terrorismo” e di “terrorista”, un dibattito che dev’essere approfondito se si vuole veramente comprendere il fenomeno Daesh. Infine, uno degli elementi chiave del successo che Daesh ha avuto, è rappresentato dalle capacità militari dei propri comandanti, provenienti in gran numero dall'esercito iracheno, grazie ai quali è riuscito a compiere "operazioni logisticamente efficaci". Secondo Beccaro, pur essendo una "minaccia non invincibile", Daesh "rimarrà un attore importante nella regione".

Fabrizio Coticchia si è concentrato su una dimensione più specificatamente militare. Prendendo come punto di partenza il nuovo Libro Bianco per la sicurezza e la difesa, Coticchia ha messo in luce alcune delle lezioni apprese dall’Italia nel corso dell’ultimo decennio. In primis, è emersa la "necessità di un'ottimale pianificazione strategica", cosa che è mancata in alcune circostanze. L'accento dev'essere necessariamente posto anche sull’impiego strumenti di natura non puramente militare-offensiva: nuovo spazio deve essere lasciato a una serie di approcci quali la cooperazione civile-militare, l'addestramento delle forze locali, e il "dialogo fra i [vari] soggetti" alla luce di una crescente “necessità d'inclusione". Altro elemento è rappresentato dalla "centralità dell'intelligence", aspetto che Triage ha già avuto modo di rilevare. Infine, si deve prestare nuova attenzione alla “dimensione domestica”: si deve arrivare a sviluppare una "narrazione strategica vincente" che sia capace di trasmettere all'opinione pubblica il senso di quanto viene fatto dagli organi militari dentro e fuori il contesto nazionale, facendone capire l’importanza di tale operato. 

L’incontro si è chiuso con l’intervento di Lia Quartapelle, intervento concentratosi su temi a volte lasciati ai margini del dibattito generale. In primis, è stato posto all’attenzione della platea il fatto che il tema della cooperazione internazionale alla sicurezza è rimasto a lungo un “tabù”; un nesso, quello tra aiuti allo sviluppo e sicurezza, che oggi non può più essere trascurato. Secondo Quartapelle, rinnovata attenzione dev’essere posta sulla dimensione istituzionale, vale a dire sul rafforzamento delle istituzioni locali. Le operazioni di institution building, legate ad un più ampio processo di riforma del settore della sicurezza (RSS), non sono una novità in Europa ma, come correttamente rilevato, si tratta di una dimensione che  necessità di analisi nuove e approfondite. In questa direzione, il tema delle migrazioni è altrettanto rilevante: istituzioni forti possono meglio sopportare il fenomeno migratorio: ad esempio, il Libano, paese in cui 1 cittadino su 5 è un profugo siriano, potrebbe beneficiare di un lavoro di rafforzamento delle proprie istituzioni attualmente messe a dura prova. Secondo Quartapelle, la lotta italiana alla jihad deve necessariamente passare attraverso la cooperazione internazionale e attraverso il sostegno alle strutture istituzionali. Non a caso, Daesh ha trovato terreno fertile proprio dove le istituzioni statali si sono rivelate essere fragili.

© Riproduzione Riservata

Alessandro Mazzilli

Laurea in Scienze Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Torino.

Esperto in Politica Estera di Difesa e Sicurezza e sulle relazioni Euro – Atlantiche.

Analista Geopolitico

Consulente in Servizi di Stuarding e controlli di sicurezza.

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