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06-01-2014

DISTRUGGERE L'ARSENALE CHIMICO SIRIANO: UN PUZZLE CHE FA FATICA A COMPORSI

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Che distruggere l'arsenale chimico siriano fosse una missione complessa non è mai stato messo in dubbio ma, al momento, la situazione s'è fatta più complicata del previsto. I primi problemi sono emersi nel mese di dicembre quando l'OPAC si affannò nel cercare un modo di distruggere parte del suddetto arsenale e nessuno stato o ente privato volle farsi carico dell'onere; così l'OPAC è stata costretta a risolvere la "crisi" riesumando un'opzione precedentemente accantonata: distruggere il materiale chimico in acque internazionali a più riprese. Un secondo grande problema è emerso sul finire del 2013 sconvolgendo la tabella di marcia che l'Organizzazione si era prefissata: secondo i piani approvati nei mesi precedenti, entro il 31 dicembre 2013 gli elementi chimici più pericolosi avrebbero dovuto lasciare la Siria, tuttavia qui hanno fallito a causa delle cattive condizioni climatiche e dei continui scontri tra le truppe di Assad e i gruppi ribelli nel quadro di una interminabile guerra civile. Ora la macchina si è rimessa in moto ma i presupposti non sono dei migliori. 

Al momento, oltre 500 tonnellate di agenti chimici, individuate come obiettivo prioritario, sono ancora dislocate in 12 siti militari sparsi in tutto il Paese, ma l'instabilità politica causata dalla guerra civile rende la fase di trasporto altamente rischiosa. Inoltre, non è ancora chiaro se i mezzi corazzati russi adibiti al loro trasferimento abbiano raggiunto le 12 località. Ulteriori problemi sono causati dalle scadenze ormai ravvicinate: il 31 marzo è stata mantenuto come termine ultimo per la distruzione delle 500 tonnellate in questione ma, stando a fonti governative siriane, saranno necessari almeno 18 giorni affinché tutto il materiale possa essere trasportato sulla costa, cosa che obbligherebbe i reparti russi a muoversi nell'arco dei prossimi 10 giorni; e considerare il tutto una facile missione sarebbe un errore.

Nel frattempo, le acque si muovono in prossimità delle coste siriane. Il 4 gennaio, un convoglio  composto da due navi danesi e due norvegesi (due cargo e due guardiacoste) ha lasciato Cipro dal porto di Limassol diretto a quello siriano di Latakia, dove resterà in attesa delle unità russe. Una volta caricate le navi cargo, il convoglio riprenderà il largo e, scortato dall'incrociatore da battaglia russo Pyotr Veliky e dalla fregata da guerra cinese Yan Cheng, farà rotta verso l'Italia. In un porto non ancora precisato, il carico sarà trasferito sulla nave statunitense Cape Ray, una portarinfuse che si occuperà della sua distruzione in acque internazionali via idrolisi, processo che richiederà circa 60 giorni (forse meno dal momento che la Gran Bretagna si è offerta di eliminare 150 tonnellate che giungeranno con il primo carico). Tuttavia, al momento, la Cape Ray resta ancorata nel porto di Norfolk (in Virginia) e le ci vorranno non meno di 15 giorni di navigazione per raggiungere l'Italia.

Insomma, tutto sembra pronto, nessun pezzo del “puzzle” sembra mancare; eppure, una cosa è avere tutti i pezzi, un'altra è farli combaciare alla perfezione.

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Alessandro Mazzilli

Laurea in Scienze Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Torino.

Esperto in Politica Estera di Difesa e Sicurezza e sulle relazioni Euro – Atlantiche.

Analista Geopolitico

Consulente in Servizi di Stuarding e controlli di sicurezza.

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